nella foto di Giulio Bassi il nostro Alessandro Padova
Riceviamo e con enorme piacere insieme a vera emozione pubblichiamo questo pezzo:
” Da dove comincio.
Comincio dalla fine. Mancano 45 secondi a fine gara 3 XL-Ebro. Ormai è fatta, abbiamo vinto. La “curva” si alza in piedi ed incita tutti ad applaudire. Tutto il Palazzetto si alza in piedi, ad applaudire vincitori e vinti, per una serie play-off davvero infinita e indimenticabile.
Guardo questa scena e la fotografo, perchè so questo istante sarà uno di quelli che mi accompagnerà felicemente per il resto della mia vita.
Gara 1. Domenica 13 maggio. Ore 17. La partita inizia alle 18.15. Alle 17 salgo e vedo già tanti ragazzi e bambini in campo. Mi chiedo se non abbiano sbagliato orario o sia io ad essere terribilmente in ritardo. Facciamo qualche tiro con loro, alcuni di loro ho anche la fortuna di allenarli. Passano venti minuti, e arrivano altri ragazzini e bambini, accompagnati dai loro genitori. Arrivano a valanga.
Ore 17.45, usciamo dal tunnel degli spogliatoi, per cominciare il riscaldamento con la squadra. Mi giro verso la tribuna: è già tutta piena.
Sono talmente emozionato che i primi tiri durante la ruota li sbaglio (non che io mi distingua per grandi qualità tecniche, lo so!), ammetto che la mano un po’ mi trema. Sarà che ci saran già mille persone tra tifosi e ragazzini, ma sono un po’ teso. Guardo il canestro e mi sembra alto 4 metri, e un po’ ci rido, perchè quindici anni fa venivo qui durante le partite del Celana e anche allora le prime volte il canestro mi sembrava più alto del normale. Pian piano mi sciolgo un po’ anch’io, faccio un paio di schiacciate, e sento che alcuni dei bambini del minibasket che alleno si gasano, cominciano a chiamarmi per salutarmi o per dirmi di farne sempre una. Non mi giro, ma vorrei farlo e salutarli, davvero. Cerco di rimanere concentrato, ma non è poi così facile. Intanto le persone ed i tifosi aumentano.
Arriva il momento della presentazione delle squadre. Noi entriamo in campo con i nostri Aquilotti, anche loro devo dire emozionatissimi. “Con il numero 16, Alè Alè, Ale Padova!”. Torno per un attimo bambino, ed entro in campo con la gioia nel cuore.
La tensione è altissima, noi siamo contratti, loro sono una squadra di categoria, giocano bene e ci mettono un bel po’ in crisi, fatichiamo a stargli a contatto, poi piano piano ci sciogliamo e la partita entra in noi, li recuperiamo, li raggiungiamo e l’incredibile tifo ci spinge a suon di applausi ed incitamenti ad una vittoria bellissima. Finisce la partita, possiamo finalmente festeggiare. Non abbiamo vinto la serie, ma è un piccolo mattone.
Scendono in campo tutti i ragazzini, ci danno il cinque un po’ tutti, quelli che alleno, quelli che non alleno, qualcuno mi chiede e ci chiede l’autografo (l’autografo… io… dovrei essere io a chiederlo a loro!!!), qualche amico viene a farmi i complimenti, due ragazzini che alleno mi fanno anche un regalo. Tutto questo è troppo anche per me.
Gara 3. Dentro o fuori, non ci sono appelli. Penso che ci vorrebbe il pubblico di gara 1, ma so che ripetersi è sempre impossibile.
Ore 17. Salgo dagli spogliatoi, ci sono un po’ dei ragazzini a tirare. Dovrei fare qualche tiro per prepararmi, ma in realtà non lo faccio, mi siedo in panchina, li da solo, e guardo il campo, guardo i nostri mini-campioni a tirare, qualcuno palleggia per il campo con una fetta di pane e nutella e penso che solo io potrei allenarlo. Arriva coach Albe, si siede vicino a me e si gode anche lui il momento,” la calma prima della tempesta”, ci scherziamo un po’ su, per stemperare la tensione.
Ore 17.35, discorso negli spogliatoi. Di solito ciò che viene detto negli spogliatoi rimane lì… però… era proprio da pelle d’oca.
Ore 17.45, si parte con il riscaldamento. Una lunga fila di ragazzini è pronta ad attenderci e a darci il cinque all’uscita dal tunnel… maledetti Beppe e Fusto, ne han pensata un’altra delle loro!
Ore 18.15 si comincia. Vedo i miei compagni belli in palla, io lo sono un po’ di meno ma non importa, cerco di rendermi utile con altro, con la difesa, con gli incitamenti, faccio qualche passaggio ai miei compagni, e loro segnano, e penso sempre che sia un piacere giocare con gente così forte. Il divario cresce, minuto dopo minuto, tutti diventiamo fondamentali, siamo un tutt’uno.
Ebro sembra al tappeto ma ha dentro ottimi giocatori, e piano piano risalgono la china. Arrivano a sei punti da noi, un po’ di tensione e paura di vincere c’è, ma questa partita dev’essere nostra, due difese “toste”, un paio di giocate individuali in attacco, e il divario torna rassicurante. L’ultimo minuto diventa un lunghissimo e memorabile conto alla rovescia. Franz Sartori è accanto a me, mi tocca il braccio e mi dice che ho la pelle d’oca e se sto bene. Sto benissimo, certo.
Insieme guardiamo la tribuna, tutta in piedi, tutta quella gente, tutti quei ragazzi che urlano a squarciagola, tutti quei bambini entusiasti.
Guardo tutto questo, e faccio ancora un’altra fotografia, perchè tutto questo non si potrà mai dimenticare.
Non so cosa succederà adesso, non so quante ne vinceremo, non so se riusciremo a farcela, non so cosa potrà accadere tra qualche mese, tra qualche settimana, tra qualche giorno, non so se meritiamo di salire o no, non so davvero tante cose.
Però so che nell’ultima partita in campo non c’erano 10 Leoni. Eravamo in 1500… e il ruggito è stato forte. Davvero forte. Ancora più forte. “